Trattative di oggi e di ieri

gennaio 26, 2018

trama

Le cronache di questo fine gennaio 2018 ci raccontano di segreterie di partiti assediate da candidati questuanti. Parlamentari o aspiranti tali all’affannosa ricerca di un posto sicuro in lista. Se, umanamente, verrebbe da comprendere un simile comportamento, non dobbiamo dimenticare che la conservazione del seggio alla Camera o al Senato è diventato il vero e forse unico collante delle maggioranze parlamentari. Le convulse trattative fra le anime dei partiti e fra i loro componenti, sono la chiave di lettura della vita politica nazionale, poiché i governi degli ultimi anni devono la loro sopravvivenza alla pervicace volontà degli eletti di rimanere in carica più a lungo possibile, ed hanno così potuto imporre leggi e decreti con lo strumento del voto di fiducia, in modo da scongiurare l’unico voto contrario che avrebbe prodotto quasi automaticamente lo scioglimento delle camere.

Mentre a Roma si celebra questo tristo rito, di ben altro mercimonio si parla altrove. A Palermo (chissà se con studiata scelta temporale)  i pubblici ministeri pronunciano la requisitoria al cosiddetto processo “Trattativa” . Processo che prende il nome non dal reato contestato (minaccia a corpo politico), ma dalla vera materia dell’indagine che gli sottende: la trattativa fra corpi dello Stato e Cosa nostra nel biennio 1992-1994. Biennio nel quale vide la luce quella che, giornalisticamente ed erroneamente, viene chiamata Seconda Repubblica, e che invece andrebbe definita come la Repubblica del dopo Guerra Fredda. In quei due anni vide la luce il germe della politica italiana contemporanea, nella quale i partiti sono carrierifici, a livello centrale e periferico, e gli elettori che si recano alle urne sono sempre di meno. La Repubblica nella quale i programmi elettorali non valgono nulla, l’attività di governo è decisa altrove (nei centri di potere sovranazionale) e la Politica sembra essersi dimenticata degli italiani, o perlomeno di molti di essi.

Il tracollo del (l’otto settembre) 1943 consegnò l’Italia al dominio delle potenze straniere, le tragedie e le trattative del biennio stragista ci hanno portato ad oggi. Del primo sappiamo quasi tutto, delle seconde?


Liste, firme e Costituzione

gennaio 4, 2018

obbrobrio

Probabilmente Il partito PiùEuropa non sarà sulla scheda elettorale del 4 marzo, e se vi sarà, non figurerà alleato con il Pd. Il motivo è che non è in condizione di raccogliere le firme di presentazione, incombenza che grava esclusivamente su tale lista. E fra chi critica il Viminale per non voler risolvere il problema e chi invece accusa Emma Bonino di cercare scuse per sottrarsi all’annunciata alleanza con Renzi, nessuno sottolinea la palese incostituzionalità di una norma discriminatoria che esonera i partiti collegati a gruppi parlamentari uscenti dall’onere di raccogliere le firme di presentazione.

Fino al varo della (incostituzionale) legge Calderoli, tutti i partiti, dovevano farlo, in base ai sacrosanti principi che per presentarsi ad una elezione bisogna dimostrare di esistere e che tutti si è uguali davanti alla legge. Ma ormai ci si è adattati all’iniqua logica per cui chi è già in Parlamento gode del diritto di perpetrarsi al potere, in spregio ai più elementari criteri di uguaglianza. Il prossimo passo quale potrebbe essere? Stabilire che solo chi è già parlamentare o suo parente o protetto può candidarsi?

Vi è poi un ulteriore elemento di illogicità, arditamente aggirato: gruppi parlamentari e partiti sono entità diverse (organi parlamentari i primi, associazioni private i secondi) ed il loro collegamento avviene in maniera legalmente discutibile. La conseguenza è che mentre piùEuropa è un partito nuovo perciò obbligato a raccogliere le firme, tali non sono Insieme (Verdi+Psi) e Civici e popolari (gli amici della Lorenzin), che possono inverosimilmente accreditarsi come partiti consolidati per il solo fatto di poter ricandidare parlamentari già eletti (rectius: nominati) con la (incostituzionale) legge Calderoli.

Sono questi obbrobri i parti dei moderni riformatori, gli stessi che hanno tentato di imporre una riscrittura della Carta, e che testimoniano i tratti prevalenti della politica contemporanea: l’analfabetismo politico-costituzionale abbinato a determinazione e sfrontatezza nel perseguimento di finalità di parte o addirittura personali. Il livello di competenza è il più basso di sempre, ma l’ambizione e la spregiudicatezza delle condotte sono ai massimi.

Avere nel prossimo Parlamento persone di maggior competenza e serietà è vana speranza, e grave responsabilità di questo desolante orizzonte va ascritta al mondo dell’informazione, che ha sempre anteposto le logiche di schieramento e di interesse al proprio compito primario. Perciò non finiremo mai di maledire questo quarto di secolo nel quale il principale attore politico del paese è stato il monopolista dell’informazione televisiva generalista. Non a caso ispiratore delle peggiori politiche in materia scolastica e perciò maggior responsabile politico del degrado culturale del Paese.

Di questo va conservata memoria per il futuro più e meno prossimo.