Le riforme

novembre 30, 2010

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Si sovrappongono in questi giorni le notizie su due riforme in elaborazione: Università e Federalismo fiscale. Una coincidenza che descrive plasticamente l’inettitudine dei nostri legislatori.

L’Università, ci dicono, versa in pessime condizioni tanto da necessitare di urgente riorganizzazione. Ma andando a vedere i mali che vengono additati dalla politica nella gestione degli atenei (proliferazione delle facoltà e dei corsi di laurea, bizzarria degli insegnamenti, eccesso di docenti, indebitamento, caos organizzativo, familismo, burocratizzazione eccetera) è elementare individuarne la causa primaria: l’autonomia universitaria, voluta da Luigi Berlinguer e portata a compimento da Letizia Moratti, unita all’irresponsabilità delle varie gestioni accademiche.

La ragione è semplice. Il dirigente italico, non appena dotato di una qualche forma di autonomia gestionale, si abbandona ai peggiori istinti, assecondato da una cultura politica imbevuta di irresponsabilità cronica. Ed infatti la cosiddetta reiforma Gelmini si ispira ad una sostanziale ricentralizzazione della gestione universitaria, con una ottusa visione decuratoria che, dopo anni ed anni di spese allegre, soprattutto a vantaggio del peggio e del superfluo, taglia indiscriminatamente tutti, compresi i migliori.

Bene. Se si volesse trovare un argomento contro il federalismo, si potrebbe prendere ad esempio proprio l’autonomia universitaria ed i suoi effetti nefasti, non tanto per l’impostazione in sè, quanto per l’interpretazione che ne è stata data nei fatti.

Ed invece marcia anche, incredibilmente, la riforma in senso federale che, non a caso, è stata criticata aspramente dagli amministratori locali pochè dietro di essa di nasconde un sostanziale centralismo, laddove si asegnano alle regioni le funzioni, ma non le risorse, ponendo una serie di vincoli finanziari decisi al centro.

Pura schizofrenia.

Detto questo, a consuntivo, una cosa si può dire. Dio ci scampi dal federalismo e, quanto all’università, la riforma più saggia sarebbe annullare tutte le riforme che sono state fatte da dodici anni a questa parte.


Chissà come mai

novembre 30, 2010

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L’Italia sprofonda, il governo fa schifo, il Presidente del Consiglio è rivoltante. Ma il principale partito di opposizione perde consensi. Tutti a chiedersi come è possibile.

E’ semplice. Chi per anni ha votato centrosinistra si rende conto (con ritardo, con disillusione, con rabbia) che la colpa della sfacelo è proprio di chi ha avuto dalla Storia il compito di fermare il Cavaliere e, invece, lo ha ripetutamente salvato, soccorso, aiutato ed arricchito. Lui e tutta la sua accolita. Senza che si capisca per quale motivo o in cambio di cosa. La consapevolezza di ciò si trasforma inevitabilmente in dissenso elettorale.

Questi signori raccolgono quello che hanno seminato.


Mario Ciancio Sanfilippo.

novembre 30, 2010

Arriva a Catania un Procuratore capo da Palermo. E si indaga su di lui per concorso esterno in associazione mafiosa.


Dice la Gelmini…

novembre 25, 2010

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che la sua “riforma” serve per evitare il nepotismo negli atenei ed i vari casi di parentopoli.

Fatemi capire. Il MINISTRO DELL’UNIVERSITA’ afferma che gli atenei italiani sono affetti dalle degenerazioni clientelari e familistiche. Se fosse un ministro appena appena decente disporrebbe indagini amministrative interne alle università per accertare i fatti e adottare i relativi provvedimenti (annullamento dei concorsi, sospensioni, collocamenti a riposo, licenziamenti eccetera). Invece no. Questo ministro* ha la bella pensata di far pagare le colpe di chi ha rovinato l’Università a quelli che verranno dopo. Brava.


Economia e legalità

novembre 23, 2010

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Il rettore della Bocconi apre l’anno accademico parlando di legalità ed esponendo la correlazione (statisticamente analizzata) fra rigore nell’applicazione delle leggi, livello tecnologico delle imprese e crescita economica. Lilli Gruber commenta sconcertata la notizia.

Eh già, perchè serve un economista per capire che laddove si rispettano le leggi la società funziona e l’economia è sana. Serve il rettore della Bocconi per capire che laddove non vi è rispetto della legge la società regredisce e di afferma la logica del più forte e non quella del più intelligente (e del più onesto). Serve un luminare dell’economia per capire che nel paese ove non vi è rispetto della legge la politica non serve a nulla e si sprofonda nell’immoralità.


Quale sindaco per Trieste?

novembre 10, 2010

trieste

Basta, dobbiamo smuovere le coscienze della città assopita. Al momento, per quel che ne so, quattro persone si sono fatte avanti per le prossime elezioni a sindaco di Trieste. Antonione, Bandelli, Cosolini e Menia. Sentieri e Pensieri, in attesa che altri si propongano, sottopone al giudizio dei suoi lettori un sondaggio orientativo. Votate, e nei prossimi mesi ne faremo altri con i candidati che emergeranno.

Modalità di voto.

1. Cliccate su “view results” e tenete a mente il numero di voti totali prima del vostro voto.
2. Selezionate il vostro candidato.
3. Cliccate su “vote”.
4. Cliccate su “view results” per verificare che il vostro voto sia stato aggiunto. Se il contatore è fermo al valore precedente ripetete l’operazione.


Riforme vere e finte in tema di giustizia. Incontro con Bruno Tinti

novembre 9, 2010

legge

Oggi pomeriggio, alle ore 18, in qualità di esponente del Movimento Agende Rosse, avrò l’onore di presentare Bruno Tinti all’incontro intitolato “riforme vere e finte in tema di giustizia” che si terrà presso la libreria Lovat (viale XX settembre, Trieste).

Il titolo suggerisce il concetto della mistificazione che la politica e l’informazione ad essa asservita ci propinano su ogni argomento, ma che in materia di giustizia tocca vertici ineguagliati. Sono ormai entrate nel senso comune formule ed enunciazioni dietro le quali si nascondono finalità opposte a quelle che dovrebbero essere le linee di una razionale amministrazione della giustizia; e sono in vigore leggi assurde, demenziali, che nessuno si sogna neppure più di criticare. L’elenco è talmente lungo che non saprei da dove cominciare.

Partiamo per esempio dall’indulto del 2006. Un provvedimento presentato all’opinione pubblica come necessario per alleviare la condizione dei detenuti, stipati in carceri sovraffollate, ma che invece riguarda solo in minima parte tale categoria. La stragrande maggioranza dei beneficiari, infatti, sono soggetti che comunque mai sarebbero entrati in carcere. Basti dire che l’indulto condona anche le multe, quando effetto di conversione in pena pecuniaria di pena detentiva. Nel nostro ordinamento una pena inferiore ai sei mesi di reclusione è commutabile in multa al tasso di conversione di trentotto euro per ogni giorno. Ne consegue che per reati considerati minori (ma minori fino ad un certo punto perchè vi rientrano ad esempio la truffa, l’appropriazione indebita, le lesioni personali, l’omicidio colposo, la bancarotta semplice, la ricettazione eccetera) commessi anteriormente al 2 maggio 2006, chiunque abbia riportato una pena di qualche migliaio di euro di multa se la vede interamente cancellata dall’indulto. Ci si chiede: cosa c’entrano le multe con il sovraffollamento delle carceri? E perchè chi invece ha subito una multa per una violazione del codice della strada la deve pagare comunque?

Ed il giusto processo? Un principio inserito addirittura in Costituzione (art. 111) che impone “condizioni di parità fra accusa e difesa”. Ma cosa significa? Nel processo penale accusa e difesa hanno ruoli e finalità differenti. L’accusa “costruisce” l’impianto probatorio, deve provare positivamente che è stato commesso un reato e che l’imputato ne è il responsabile. La difesa deve semplicemente confutare, “distruggere”. Parlare di parità è come affermare che chi costruisce case deve avere gli stessi strumenti di chi le demolisce. Che senso ha? Ma non è tutto. Il Pubblico Ministero (l’accusa) ha (ovviamente) obbligo di verità. Deve cioè portare a processo tutte le prove, anche quelle a favore dell’imputato; e se, in qualsiasi momento del procedimento, si accorge che l’indagato/imputato è innocente, deve chiederne il proscioglimento. La difesa ovviamente non ha un obbligo speculare, anzi! Dov’è la parità? Perdipiù, nel nostro ordinamento (e solo nel nostro!), l’imputato ha facoltà di chiedere la parola in qualsiasi momento del processo e riversare sulla corte un valanga di falsità senza nulla temere. Che parità è mai questa? Provate ad immaginare una causa di divorzio (in quel caso sì che le parti sono in condizioni di parità) nella quale la moglie è obbligata a dire la verità mentre al marito è concesso seppellire il giudice di menzogne. Vi pare un “giusto processo”?

E gli esempi potrebbero continuare. L’assurdità della prescrizione in corso di processo, con l’oscena abbreviazione introdotta dalla legge ex Cirielli; l’impugnabilità gratuita, a rischio zero, di ogni provvedimento, con conseguente espansione indeterminata dei tempi processuali; l’assurda depenalizzazione del falso in bilancio, per cui, con le parole di Davigo “è come imporre la punibilità del furto a querela del ladro”. L’automatismo degli sconti di pena, che obbliga il giudice a condonare pene a chiunque, anche ai peggiori criminali; l’impossibilità per le magistrature superiori di “riformare in pejus” così che risulta incentivata la reiterata impugazione.

Si potrebbe continuare con la cosidddetta “terzietà del giudice” che si è trasformata in “cecità del giudice”, privandolo dei poteri di cognizione che erano previsti dal vecchio rito inquisitorio (abbandonato nel 1989 con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale). Cecità che si vuole imporre anche al Pubblico Ministero con “riforme” volte a limitarne i poteri di indagine: si pensi all’oscena legge contro le intercettazioni telefoniche ed ambientali ed alla volontà di attribuire solo alla Polizia Giudiziaria l’attività investigativa.

Infine non posso tacere il totale disprezzo dei diritti della persona offesa che, nel nostro ordinamento, oltre ad essere vittima del reato, è vittima del processo, della sua inammissibile, intollerabile durata, e della smisurata generosità verso i colpevoli ispirata da un falso garantismo. Garantismo fasullo perchè disegnato in favore degli indagati/imputati colpevoli e non certo verso gli indagati/imputati innocenti. Hanno voluto modificare la Costituzione con il “giusto processo”; io, in quell’articolo, ci avrei inserito una frasetta facile facile: “il processo deve assicurare un equo risarcimento alla persona offesa dal reato”. L’hanno messa? Macchè, nemmeno di hanno pensato.

Di questo ed altro ci sarebbe da parlare per ore. Ascolterò domani Bruno Tinti, per un’oretta almeno.

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Bruno Tinti è stato procuratore aggiunto a Torino, occupandosi in particolare di reati fiscali, societari, finanziari e fallimentari. Professore universitario, ha scritto due saggi divulgativi – “toghe rotte” e “la questione immorale”, tiene un blog intitolato “toghe rotte” e scrive su Il Fatto Quotidiano. Attività queste con le quali ha cercato di rompere la cortina mistificatoria di cui ho parlato e di indicare le vere riforme, grandi e piccole, che servirebbero.

Lavorando a Torino il dott. Tinti ha avuto come Procuratore Capo Bruno Caccia, ucciso il 26 giugno 1983 da due sicari della ‘ndrangheta, che già allora aveva cospicui interessi economici in Piemonte. Tengo a dirlo perché se è giusto da un lato ricordare e celebrare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, bisognerebbe anche ricordare altri magistrati come appunto Caccia (ed anche, ad esempio, Rocco Chinnici ed Antonino Scopelliti), che ebbero la stessa tragica sorte ma sono stati colpevolmente dimenticati dall’opinione pubblica.


Fini a Perugia

novembre 7, 2010

suicidio

Ho ascoltato stoicamente il discorso del presidente della Camera, appena terminato.

Se fosse stato il testo di un monologo teatrale lo spettacolo avrebbe dovuto concludersi con l’autore che si inginocchia in favore di pubblico, sguaina la sciabola e fa harakiri.

Fini ha elencato alcuni mali del berlusconismo vigente, eludendo i peggiori e tacendo i particolari più scabrosi ed esiziali. Ha accusato platealmente la Lega di essere un movimento subpolitico, antinazionale. Ha descritto il governo come giunto al termine della sua esperienza. Ne è uscito un quadro desolante di cui lui è uno dei principali responsabili, perché di questi due fenomeni egli è stato dal 1994 il puntello più saldo, il compagno più fedele, il servo più ubbidiente. Se tutte le critiche che ha mosso sono giuste, se tutte le analisi che ha svolto sono esatte, dovrebbe ritirarsi dalla vita politica. Invece, incredibilmente, non ho udito alcuna autocritica. Avrebbe dovuto dire: “amici (camerati?), in sedici anni abbiamo sbagliato tutto! Chiediamo scusa agli italiani!” Niente di tutto ciò.

Fini ha incredibilmente lasciato aperta la porta alla prosecuzione della vita della maggioranza a condizione che “riscriva l’agenda”, invocando come base un fantomatico “tavolo di lavoro per la crescita”. Tatticismi, mi si insegnerà, “per lasciare il cerino acceso in mano a B.”. Sarà.

Quello che ho sentito parlare è un mezzo leader (anche meno) che dopo aver tracciato un quadro desolante del suo paese, sa solo appellarsi al vecchio capo senza avere il coraggio di trarre le adeguate conseguenze. Minacciare il ritiro della delegazione di governo ed il ricorso all’appoggio esterno è infatti una trovata da vecchio democristiano.

Capisco però per cosa nasce Futuro e Libertà: ereditare il consenso di Berlusconi una volta che questi sarà eclissato (se e quando avverrà). Come il Msi ereditò i consensi residui del Pnf ed Alleanza nazionale quelli del Msi. Come il Pds ereditò quelli del Pci, il Ppi quelli della Dc ed il Pd quelli delle rispettive mutazioni. Questo sanno fare i leader politici nazionali, salvo qualcuno: ereditare. Come figli inetti ed inferiori ai genitori che aspettano di prenderne il posto per gestirne il patrimonio.

Ma chi eredita senza saper osare in proprio non fa che impoverirsi, esattamente come l’Italia, guardacaso.


Ruby o Noemi?

novembre 6, 2010

Ma quale Fini; ma quale Renzi. Sentieri e Pensieri lancia il sondaggio del momento.


Uso politico della giustizia

novembre 5, 2010

maiotti

– Lei è un mafioso, non può fare politica.
– Mi denunci e ci vediamo a processo, se sarò condannato mi dimetterò.
– Ma ci vorranno quindici anni, e nel frattempo?
– Vale la presunzione di innocenza, continuerò a fare quel che faccio.


La morale

novembre 5, 2010

fanciulla

Frequentare minorenni non è reato. Pagare prostitute non è reato. Frequentare mafiosi non è reato. Falsificare i bilanci non è (più) reato. Evadere il fisco e corrompere sì, ma c’è la prescrizione, oppure manca la prova. Avere società offshore non è reato. Mentire non è reato. Farsi votare dai mafiosi non è reato. Fare pressioni sui funzionari dello Stato non è reato.

Non serve che continui, avete capito.

Ad ogni puntata di Annozero gli indignati dell’opposizione vanno sempre a sbattere contro Ghedini il quale dimostra che B. è candido come un giglio, e se si accaniscono a voler dire che invece forse il reato c’è, ecco che forniscono l’assist: “uso politico della giustizia”.

La verità è che il dibattito politico dovrebbe riposare su una morale pubblica (e non sul codice penale) che non esiste più perchè tutti ce ne siamo disinteressati. Basta far caso al lessico; si usano talvolta le parole “immorale”, “amorale”, “etico”, ma “morale”, mai. Quasi fosse una bestemmia pensare di dire cosa è “morale” e cosa no.

Da decenni ormai abbiamo abbandonato l’idea che il vivere del singolo e della collettività necessita dell’elaborazione continua di criteri di discernimento fra bene e male, illudendoci che il perseguimento dell’interesse personale incanalato nella fredda normativa protocollare (ispirata poi da cosa? Da rapporti sociali di forza? Da dogmi parareligiosi?) sia sufficiente a regolare i comportamenti singoli e collettivi. Una scelta che oltre ad essere di moda (brutta parola “morale”, fin dagli anni settanta, soprattutto se qualcuno ci vuole appiccicare l’aggettivo “sessuale”) è anche comoda da adottare. Perchè chiedersi ogni volta cosa è bene e cosa è male è faticoso. E’ faticoso decidere da se stessi come essere buoni cittadini, buoni lavoratori, buoni studenti, buoni genitori, brave persone. Molto meglio farsi prescrivere un protocollo comportamentale e rispettarlo alla lettera (almeno in apparenza).

No. Non è mai stato così, e così non può funzionare.